Yoga e alchimia
È abitudine usare il termine alchimia in senso lato, in modo generico senza fare nessun riferimento alla tradizione stessa dell’alchimia.
Lo stesso destino tocca alla parola yoga. Tutto è yoga, tutto è alchimia, è vero. Yoga e alchimia descrivono i processi della vita e in questo senso possiamo certamente usare questi termini a ogni occasione che si presenta. Meglio però sarebbe specificare a cosa si faccia riferimento quando si parla di yoga e di alchimia.
Il rischio è di usare termini che non si riescono poi a maneggiare (se non in maniera maldestra e inappropriata), e si sa cosa si intende, quando si dice…maneggiare con cura!
Entro in punto dei piedi nello yoga e nell’alchimia solo per nutrire il lume dell’intelletto di quel sano cibo di cui certe tradizione sono colme.
Dal silenzio la vita interna
Arriva un momento nella pratica dello yoga dove il suono lascia spazio al silenzio, il movimento all’immobilità in modo tale che da silenzio e immobilità possano emergere varie sensazioni; si rende visibile un mondo da sempre presente in noi, il tantra inizia e si presenta come rivelazione. Nella pratica del silenzio si percepisce l’attività della natura che si risveglia all’interno e le si permette di operare per mostrarci la comunione tra il Sé inferiore e il Sé superiore.
La nostra terra
Rimanendo nel silenzio possiamo prendere contatto con le sensazioni corporee. Le sensazioni corporee sono chiamate nell’alchimia tradizionale “Prima materia” l’elemento quantitativo e qualitativo dell’essere (tra i darshan le qualità della materia sono descritte nel vaisesika). Le sensazioni hanno (o sono) tracce di spirito (oro) racchiuso nella materia, nel corpo (piombo).
Il corpo si trasforma grazie semplicemente a una “presa di coscienza (prana)” che riesce a riconoscere il corpo come terra e, grazie a una pratica esperienziale (anubhava), poterlo chiamare infine come lo chiamavano gli alchimisti: “nostra Terra”. È solo l’inizio dell’opera.
In quest’immobilità raggiunta non per volontà ma per abbandono, passando cioè da praytna a saithilya (prayatna-śaithilya-ananta-samāpatti-bhyām PYS II, 47) avviene una separazione (viveka nel linguaggio dello yoga sutra): senza coercizione il leggero si separa dal pesante , primo segnale di ri-orientamento delle forze naturali verso un ordine che è a loro proprio.
Primo gradino in cui avviene la separazione della materia dallo spirito, corpo e coscienza per un attimo si differenziano. Si comprendono meglio, in questo modo, meglio i concetti di Purusha e Prakrti; il momento iniziale della separazione (solvet) che precede il momento della riunificazione è bene descritto dalla tradizione dei darshan (via della discriminazione).